È difficile capire il valore della pittura di Ermanno Zamboni (e il fascino irresistibile che la "bellezza sovrumana" dei primitivi esercita su di lui) se non si tiene conto della sua pluridecennale esperienza di affreschista, restauratore ed insegnante. Non solo il gusto neoclassico (anti-accademico) delle tavolozze da cui nascono segni e colori personalissimi (contraddistinti da quel terribile silenzio “che non lascia sperare”), ma anche le scelte iconografiche in sé (una sorta di commistione di immagine pagane e cristiane, di attenzione alla mitologia greca e al suo significato nella nostra epoca) depongono a favore di una personalità poetica tecnicamente e culturalmente dotata, in conflitto tra passato e presente, tradizione e modernità.

 

Le Annunciazioni, i Trittici, le Attese, gli Incantesimi e persino le Donne valsesiane, collocate come sono dentro forme paesaggistiche e architettoniche senza tempo, sono un inno malinconico e sublime alle più belle stagioni della storia dell'arte, scandito dalla presenza quasi ossessiva dell'"eterno femminino". I Preraffaelliti e Delvaux soprattutto, sono un punto di riferimento colto, a questo proposito. Volti decisamente classici e, proprio per questo, sicuramente moderni; ispirati, si direbbe, all'Afrodite dell'ateniese Kalamis, ma anche alla sua Demetra. Profili apollinei, severi, dalla perfezione "disumana", come le Cariatidi dell'Eretteo, amate da Modigliani.

Volti dalla bellezza fidiaca, lapidaria, medusea (dalla seduzione perversa). Come gli uomini del cinquecento, Zamboni avverte un bisogno prepotente di guardare all'antichità e alle radici della cultura artistica, consapevole che il passato nell'arte è inseparabile dalla modernità.

Sono immagini che fanno pensare al Croce, soprattutto là dove il filosofo partenopeo ricorda come i poeti (e i pittori) che cantano la bellezza e le virtù delle donne per riflessione siano filosofi che "ragionano in versi o in rima d'amore". Anche Hogart si domandava dove fosse "il bello (...) che non derivi dalla figura femminile, centro di ogni bellezza". La risposta, secondo Zamboni, è nelle donne del Botticelli e di Raffaello: nell'allegoria e nella grazia; ovvero nell'astrazione più autentica. La bellezza - diceva il grande Ruskin nel secolo scorso - ha tanti significati quanti sono gli stati d'animo dell'uomo.

È un "fenomeno" puramente umano e, quindi, profondamente soggettivo. Tanto è vero che gli antichi cercavano la perfezione mettendo assieme frammenti diversi di beltà. La bellezza è un termine in sé pluralistico. È attraverso la presa di coscienza di questa realtà che si giunge alla percezione del divino nell'arte e nella poesia.

Nelle opere dell'artista valsesiano s'avverte l'eco lontana e fluida delle atmosfere invernali e crepuscolari di Bruegel il Vecchio, i fondi bui e compatti di Zurbaran. È l'attualizzazione di quella visione a dare senso al clima metafisico e surreale dei dipinti di Zamboni. È il trasferimento temporale, la forte decontestualizzazione, a conferire potenza evocativa ed un mitologismo che si fa metafora della contemporaneità e quindi modernità. Qui, credo, va indagata criticamente la sua opera; in queste figure che riemergono da un mondo lontano, perduto nel tempo e pieno di suggestioni enigmatiche, ma che ha molte cose da dire ai contemporanei, malati di razionalismo senz'anima, di positivismo catastrofico, di misticismo esoterico.

I miti, le leggende, i misteri - suggerisce Zamboni - non possono che emergere dalle notti del tempo e dello spazio: quel buio dal quale veniamo e al quale - per dirla come Leopardi e Shopenhauer - siamo destinati a tornare. Le notti di Ermanno Zamboni, dalle luci liquide, permeate di classicità, sono luoghi delle origini.

Il coraggio del classico, l’audacia di guardare al passato, alla mitologia, al manierismo, il coraggio della storicità e della separazione dal conformismo "modernista": ecco la pittura di Zamboni. Quanto di surreale e di metafisico c’è nel suo linguaggio lo rende straordinariamente attuale, ma contrariamente all'immobilità del mondo dechirichiano, che assume l’enigma in sé a sostanza della propria arte (rendendola ancora più artificiosa), Zamboni appare meno complicato, privo di ironia e "filosofemi" pittorici; quindi più inquieto e drammatico: più immerso nel suo tempo

Nelle figure femminile, appare viva la loro interiorità, la loro essenza poetica e spirituale. Per lui, come per i grandi dell’arte classica e neo-classica, non esiste bellezza fuori dal corpo umano, come non esiste corpo umano che sia privo di spiritualità.

E infatti il pittore Quaronese non fa molta distinzione fra bellezza femminile e bellezza maschile. Il suo androginismo ci rimanda all'antichità greca. L'Apollo Sauroctomos di Prassitele non è molto diverso, per raffinatezza e armonia di tratti,all'Afrodite Cnidia dello stesso Autore. E così dicasi delle Piangenti scolpite in un sarcofago della necropoli reale di Sidone e della Leda stupenda di Timotheos.

Lo stile di Zamboni sembra sacrificare la realtà (dalla quale pittoricamente proviene) alla potenza espressiva delle idee, della memoria, delle radici. Soprattutto in quest'ultima fase della sua avventura pittorica (che dura ormai da oltre un decennio), Zamboni si rivela artista preciso e freddo, determinato e perentorio: calvinista nei contenuti più che savonaroliano. Solo a lui, che ha visto tante Madonne e tanti Bambini (e che viene dalla terra del grande Gaudenzio Ferrari) poteva venire in mente di collocare un libro (simbolo di cultura e conoscenza) nelle mani di Maria, piuttosto che l’immagine (concettuale, dada) del cuore di Cristo, come è avvenuto per l’affresco eseguito sulla facciata d'una chiesa biellese (Santa Maria a Crocemosso ndc).
Il buio, il nero, le ombre, la luna, il gelo; la perfezione iperfigurativa, ma anche l'atmosfera diaccia del mistero e della magia: questi gli elementi di una cultura pittorica che viene da lontano. Nei suoi quadri s'avvertono i frastornati silenzi della classicità foscoliana e il senso "nero" del sublime nordico. Questa coscienza della propria piccolezza di fronte all'arte, rende bene la percezione moderna del sublime. Quel sublime che oggi come ieri abita i grandi spazi, le altezze vertiginose e le profondità abissali; che ama le catastrofi, le rovine, il "mostruoso" e tutto illumina alla luce pallida dei crepuscoli e delle albe: un miscuglio di paura e di bellezza, di timore e di piacere, che mette a contatto con la terribilità del divino, parla con la voce di Dio e del demonio.

Per i contemporanei il sublime vive nelle cavità ancestrali della coscienza più che nello splendore sconvolgente della natura. Il sublime oggi, ancora più che tra i romantici, è il bello filosofico, ideale poetico. Esso si rivela all'artista ogni volta che un oggetto, un fenomeno, un'immagine spirituale o reale, eleva la mente; e ogni volta che essa - la mente - contempla qualcosa che la sopravanza e la riconosce.

Conoscenza e immaginazione, cultura e fantasia e astrazione: in questo confronto, quotidianamente sollecito delle frequentazioni di chiese, musei, residenze storiche o pinacoteche, e che sfugge ad ogni pedanteria classificatoria, si colloca la visione del mondo, della vita e dell'arte di Ermanno Zamboni.

Si dice che uno degli effetti della conoscenza sarebbe quello di indebolire la forza dell'immaginazione "in quanto originaria dell'uomo". io non lo credo. E se ho capito bene questo pittore preparato e intelligente, neppure lui. In qualunque campo si manifesti, la conoscenza non potrà mai cancellare dal mondo (e nell'uomo) il senso del mistero che avvolge il creato. Il progresso della scienza non punta alla perfezione, così come il divenire dell'arte non sta nel raggiungimento della verità. Se è vero che la saggezza è propria di quei pochi privilegiati che sanno di non sapere, allora diventa chiaro che perfezione e verità non sono di questo mondo. Per chi crede, esse conducono direttamente al Creatore di tutte le cose.


BRUNO POZZATO 1994